Un lavoro, Alfio Torrisi, ce l’aveva già. Stabile, ma lontano da casa e da suo figlio di 10 anni. Ecco perché aveva deciso di imbarcarsi: venti giorni lontano, alle Bahamas, ma poi più tempo per stare vicino alla sua famiglia.
Solo che in Sicilia il falegname 54enne di Giarre c’è tornato dentro una bara. Morto per cause da chiarire e svuotato dei suoi organi, che qualcuno ha prelevato e sostituito con truciolato e fogli di giornale. “Se non avessimo presentato un esposto alla Procura di Catania per capire i motivi del decesso – spiega il padre Giuseppe – e di conseguenza i magistrati non avessero disposto un’autopsia, non lo avremmo mai scoperto e mio figlio sarebbe stato seppellito così. Queste non sono cose da uomini, ma da animali”.
La famiglia Torrisi si è affidata agli avvocati Antonio Fiumefreddo e Giuseppe Berretta e oggi chiede la verità. Il 54enne sale a bordo della nave Paradise della Carnival Cruise Linea a metà ottobre. Non ha un rapporto di lavoro diretto con la compagnia di navigazione, ma con una impresa di Riposto, la Techni Teak di Giulio Nirelli, noto anche per essere stato negli anni scorsi il presidente del Giarre calcio. Non è un’anomalia: dalla zona ionica sono in molti a trovare lavoro nel mondo delle crociere e in particolare sulle navi Carnival. Anche il comandante della Paradise, Giuseppe Castrogiovanni è originario di Riposto. Come anticipato dal quotidiano La Sicilia, sia lui che lo stesso imprenditore Nirelli sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Catania.
“Mio figlio lavorava sulla coperta della nave, con temperature anche di 40 gradi, per molte ore – racconta il padre, pure lui in passato imbarcato sulle navi Carnival – Si è sentito male pochi giorni dopo essere arrivato. All’inizio ci hanno detto che non era grave, che lo avevano portato all’ospedale locale di Freetown, dove la nave era ferma, ma che lo avevano sedato perché lui minacciava di togliersi tutto”.
Le anomalie iniziano qui. E proseguono. Prima del decesso, i familiari di Torrisi riescono a parlare con diverse persone presenti sul posto: con alcuni colleghi di Alfio e con il comandante della nave. “Siamo venuti a sapere che Alfio non era coperto da assicurazione sanitaria e per questo non è stato possibile trasferirlo in un ospedale di Miami che avrebbe potuto assisterlo meglio. Eppure Miami distava appena 15 minuti di elicottero”. La situazione precipita fino al peggio. “Ma dall’ospedale nessuno ha inviato la cartella medica e l’esito dell’autopsia che hanno fatto lì subito dopo la morte – precisa la sorella Rosaria – in sostanza non sappiamo nemmeno di cosa è morto mio fratello”.
Il peggio, però, arriva dopo. Quando la salma giunge in Italia, quasi un mese dopo il decesso, la Procura di Catania dispone una nuova autopsia, che viene eseguita dal professore del Policlinico di Catania Cristoforo Pomara. Il corpo di Alfio è stato svuotato dagli organi e riempito con truciolato e fogli di giornale. “Chi ha fatto questo? E perché? Volevano impedirci di risalire alle cause della morte?”, si chiede la famiglia. “Spero solo che tutto ciò sia avvenuto dopo la sua morte”, è l’incubo che cerca di esorcizzare Rosaria, che adesso chiede l’intervento del ministro degli esteri Tajani: “C’è qualcuno – conclude – che vuole nascondere quanto successo”.