Sarà la volta buona? I segnali per il ritorno delle Province in Sicilia sono chiari, ma ci sono ancora tante, tantissime incognite. Di certo c’è che la riforma è pronta e non solo ha completato l’iter per approdare sui banchi dell’Assemblea regionale, ma sarà discussa nelle prossime ore. Poi sarà votata, con il governo guidato da Renato Schifani che preme per una rapida approvazione in modo tale da poter indire le prime elezioni provinciali del nuovo corso già l’8 e il 9 giugno, in concomitanza con le elezioni europee e con le amministrative in diversi Comuni dell’Isola.
La storia
In Sicilia le province sono storicamente nove, hanno smesso di chiamarsi in questo modo nel 2014, con la riforma varata dal governo guidato da Rosario Crocetta, che ne ha stravolto l’aspetto. Anzitutto basta presidenti e consigli provinciali eletti dai cittadini. Col nuovo assetto, quello attualmente in vigore, i territori che corrispondevano alle province delle tre città più grandi: Palermo, Catania e Messina, sono diventati città metropolitane, con alla guida un sindaco metropolitano individuato nel primo cittadino del capoluogo e con un consiglio formato dall’assemblea di sindaci e consiglieri comunali della città metropolitana.
Come potrebbe essere
Le restanti sei e province invece sono state tramutate in liberi consorzi di Comuni, con a capo un presidente eletto dall’assemblea di sindaci e consiglieri. Una riforma mai davvero attuata del tutto, visto che nel caso dei sei consorzi non si è mai proceduto con la creazione di presidenti e consigli, ma si è andato avanti per dieci anni con dei commissari straordinari.
Con la nuova riforma tornerebbe l’elezione diretta dei presidenti e dei consiglieri, ma resterebbero come nome le tre città metropolitane, mentre le altre sei tornerebbero a essere chiamate province. Se ci sarà l’ok dell’Ars ritroveremo le elezioni provinciali, con gli enti che dovrebbero riprendere a pieno tutte le loro funzioni e sopperire alle mancanze e ai vuoti creati negli ultimi anni, con uffici sempre più vuoti e risorse prossime allo zero.
Il rischio
Il lavoro normativo in corso a palazzo dei Normanni potrebbe tuttavia essere vano se dal governo nazionale si decidesse di impugnare la nuova legge, che andrebbe in aperto contrasto con la riforma Delrio, anch’essa targata 2014, che l’esecutivo Meloni si è più volte proposto di abrogare, ma che di fatto è ancora vigente.