“Il G7 a Siracusa è stato un affronto per noi agricoltori, ci hanno invitato per fare cosa? Il 90 per cento degli agricoltori e degli allevatori siamo sul lastrico”. Giovanni Cerasa alleva galline siciliane nelle campagne di San Cataldo, in provincia di Caltanissetta. E le sue uova da allevamento a terra finiscono all’estero. O meglio, finivano. “La produzione per due anni è azzerata – racconta – la siccità ha fatto morire migliaia di galline. Speravo di avere dei ricavi con l’olio, ma quest’anno sugli alberi ci sono pochissime olive. Un disastro”.
Giovanni è stato uno dei promotori delle proteste del settore agricolo e zootecnico dello scorso inverno. Da gennaio a marzo, tre mesi di presidi, notte e giorno, cortei, assemblee, trattative con la politica. Cosa avete ottenuto? “Poco o niente – risponde amaro – una legge regionale che semplifica le procedure per realizzare laghetti e pozzi nelle nostre proprietà. E niente più”.
“Hanno stanziato 20 milioni di euro per 200mila aziende agricole – aggiunge Angelo Calcagno, 36 anni, che nel territorio di Aidone produce grano e olio – una goccia nell’oceano, eppure di soldi in questo Paese se ne spendono a milioni per guerre ed eventi”.
Come per il G7 sull’agricoltura che si è svolto a settembre a Siracusa. “Mi avevano invitato – precisa Cerasa –, ma non sono andato. Una presa in giro mentre l’agricoltura siciliana muore”. La vetrina dei prodotti tipici siciliani non è piaciuta a chi è soffocato dalla crisi. “La realtà è molto diversa, parla di aziende fallite e debiti. La nostra agricoltura ha bisogno di un piano Marshall – conclude – non si vuole capire che l’agricoltura tradizionale qui ha fallito, ha bisogno di grandi mezzi e non li abbiamo, i sistemi agricoli sono completamente sbagliati. Bisogna ricominciare tutto dall’inizio”.