L’Etna sembra essersi preso una tregua. Almeno così spera chi vive alle sue pendici ed è ancora alle prese con la pulizia della sabbia nera che nell’ultimo mese ha colpito decine di Comuni della provincia di Catania.
Il problema ormai non è emergenziale, come accertato anche dalla risposta negativa del governo nazionale alla richiesta di stato di emergenza chiesto dalla Regione. Va così almeno dal 2011, da quando a muntagna ha cominciato a mostrare con una certa continuità gli effetti del cambiamento in atto: da vulcano effusivo a vulcano esplosivo. Le solite colate sono accompagnate dalle fontane di lava e soprattutto dalla formazione di dense nubi di cenere nera che raggiungono altezze chilometriche per poi riversarsi sui Comuni della fascia ionica.
Parliamo anche di 10 chili di sabbia vulcanica per metro quadro. Moltiplicata per centinaia di migliaia di metri quadri. Solo il piccolo comune di Zafferana, tra i più esposti, nell’ultimo mese e mezzo ha messo in conto 1 milione di euro per la pulizia. Negli ultimi anni si è cercato il modo di trasformare un pesante handicap in risorsa, verificando se la cenere dell’Etna possa essere riutilizzata e non trattata come rifiuto. L’Università di Catania in particolare ha avviato diversi progetti in tal senso. Uno dei più importanti è stato il progetto Reucet, promosso dal dipartimento di Ingegneria edile e architettura insieme ai dipartimenti di Geologia e Chimica, e finanziato dal ministero dell’Ambiente.
“Abbiamo approfondito le applicazioni che la cenere può avere in diversi cicli produttivi”, spiega Paolo Roccaro, professore di Ingegneria sanitaria e ambientale e responsabile del progetto Reucet. Si va dalla produzione di malte, cementi, materiali ceramici come il cotto siciliano, all’utilizzo come fondo stradale e in strutture geotecniche, ma anche come materiale fotocatalitico per il disinquinamento dell’aria e dell’acqua. In alcuni di questi casi i risultati sono molto incoraggianti. “Andando a sostituire materiali da cava con la sabbia vulcanica avremmo una vera economica circolare”, sottolinea il docente.
Ma allora come mai questi studi non sono stati trasformati in buone pratiche, nonostante la collaborazione di alcune aziende con l’università di Catania? È del 2021 la legge regionale che permette di trattare la cenere vulcanica non più come rifiuto, ma come materiale per il riuso a fini produttivi. Ci sono voluti poi tre anni affinché venissero emanate le linee guida, nel febbraio del 2024, che danno indicazioni ai Comuni per rapportarsi con i privati interessati. “Ma restano alcuni nodi irrisolti – precisa Roccaro – ad esempio i privati sono spaventati dal fatto che molta di questa cenere, rimanendo a lungo sulle strade, è sporca e quindi dovrebbero avvalersi di ulteriore strumentazione per pulirla”. E ancora c’è il tema delle autorizzazioni alle aziende. “Gli incentivi per le imprese che decidono di usare la cenere – conclude il professore – sarebbero sicuramente un passo avanti”.