Cristina Cattaneo è l’anatomopatologa più famosa d’Italia. Da medico legale si è occupata dei più importanti delitti del Paese e nel 2015 è stata tra le principali protagoniste della grande operazione che permise il recupero del barcone naufragato nel Mediterraneo nella notte tra il 18 e il 19 aprile di quell’anno.
L’abbiamo incontrata a Catania, ospite nei primi giorni di giugno del Congresso nazionale della Società italiana di medicina legale. Una chiacchierata per fare il punto su quanto lavoro è stato fatto negli ultimi otto anni sul riconoscimento dei cadaveri dei migranti rimasti senza identità. “Un lavoro che mi rende orgogliosa di essere italiana – dice – perché l’Italia in quella fase di grande slancio ha avuto il coraggio di trattare quella tragedia come se fosse una tragedia nostra, una tragedia italiana ed europea”.
Quel giorno morirono circa 700 persone. Col recupero del barcone furono identificati 300 corpi e migliaia di resti. “Finora abbiamo dato un’identità a 40 cadaveri, troppo pochi – spiega Cattaneo – il lavoro da fare è molto, ma lo slancio iniziale è svanito. Attualmente andiamo avanti per puro spirito volontario. E invece non possiamo più non farlo, perché stiamo violando uno dei più grandi diritti umani, quello alla verità. Ma forti del ricordo di quanto abbiamo fatto, vale la pena spingere per andare avanti”.
Tra il 2014 e il 2023, sono stati registrati più di 63mila morti di migranti come vittime dei viaggi nel Mediterraneo, più di due terzi non sono identificati, con grandi conseguenze per la salute mentale di chi cerca quei morti. “Questo lavoro lo dobbiamo anche per rispetto dei vivi – continua – perché ci sono orfani che non possono essere adottati perché formalmente non sono ancora orfani, vedove che in alcune società vengono ostracizzate perché formalmente non possono dire di avere perso il marito, madri che diventano letteralmente matte perché vivono nel limbo”.
Da qui emerge la richiesta al Parlamento europeo “di fare una legge che obblighi gli Stati membri a creare degli hub in cui si trovano i dati dei cadaveri senza identità da incrociare con quelli raccolti dai famigliari delle persone scomparse, ovunque essi si trovino. Parallelamente bisognerebbe operare per modificare la normativa italiana, o meglio implementare la legge 203 sugli scomparsi, al fine di promuovere un modello operativo che consenta di sottoporre ad autopsia giudiziaria e ad analisi identificative tutti i cadaveri senza identità e non solo quelli delle vittime di reato”.