La fotografia cruda di Francesco Faraci

Gli scatti dell’artista palermitano nei più importanti quotidiani del mondo. Tra le sue collaborazioni Achille Lauro, Jovanotti e Cattelan

28 Novembre 2024

Protagonista dei suoi lavori fotografici è la sua città: Palermo, vista con l’occhio di chi l’ha odiata profondamente ma anche di chi se n’è rinnamorato. È quello che ci ha detto nel corso di questa intervista Francesco Faraci, giovane fotografo palermitano che si occupa di fotografia documentaria e reportage sociale e che fino all’età di 27 anni non credeva che della fotografia ne avrebbe fatto un mestiere. Un curriculum pregno di vissuto, di titoli, mostre, workshop, seminari e conferenze in giro per l’Italia; nel 2016 l’inserimento nella top 100 degli Street Photographers stilata da LensCulture. 

Il bianco e nero è la sua cifra stilistica perché gli permette di “arrivare dritto alle cose”, di dirle così come sono, crude, e di guardare il particolare mentre il colore, dando una visione d’insieme “confonde”. E poi è il linguaggio dell’onirico, del sogno.

Nel 2014, dieci anni fa (prima di diventare divo) un allora non così divo Achille Lauro trovando affini le tematiche trattate da Faraci e coincidenti con quello che lui trattava nel disco dell’epoca, lo contatta su Instagram chiedendogli di scattare delle foto per il suo album di allora “Ragazzi madre”. I due tornano a collaborare a distanza di qualche anno per il prosieguo del lavoro iniziato.

Nel 2019 viene contattato da un altro cantante della scena nazionale: Jovanotti lo vuole per il suo tour nelle spiagge italiane: il Jova Beach Party, 17 tappe che hanno toccato le principali spiagge italiane. 

Infine nel 2021 lavora per la docu-serie di Alessandro Cattelan, Una semplice domanda, su Netflix, uscendo dalla propria comfort zone. Ma in realtà il focus della sua produzione sono le periferie, i quartieri marginali, degradati di Palermo come Brancaccio, lo Zen, lo Sperone. E anche se lì i protagonisti sono spesso bambini con alle spalle storie difficili pesanti, è proprio lì che Faraci cerca di mostrare la poesia che si nasconde dietro quei volti e di immaginare il mondo non com’è ma come vorrebbe che fosse perché la fotografia deve fare anche questo: riflettere la realtà ma creare anche un immaginario. “Utopia? Forse – dice Francesco – ma perché non crederci?”.

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