A festeggiare sul serio è stato solo Edy Tamajo, 121 mila voti meritavano sciarpe, striscioni, brindisi e balli disco music: non c’è dubbio, anche alla faccia degli invidiosi che gli fanno le macumbe e cominciano a seminare veleni sul suo piglio del consenso.
Per il resto della truppa del centrodestra sembra incredibile il post voto delle Europee: musi lunghi, volti accigliati e pallottoliere in mano. Eppure ne avrebbero ben donde per stappare anche loro, non foss’altro per la magra figura rimediata dai rivali del centrosinistra: nel Pd la resa dei conti contro il segretario Anthony Barbagallo è cominciata subito dopo l’analisi dei dati con la Sicilia ultima per consensi avuti dai Dem (14%) e buona parte dei parlamentari regionali che si sono rotti di essere presi a pesci in faccia dopo avere tirato la carretta facendo eleggere Giuseppe Lupo; nel M5s si fa finta di festeggiare per il terzo posto nell’Isola, pur sapendo che i voti del movimento si sono dimezzati rispetto alle Europee di 5 anni fa e che il santino Giuseppe Conte è nella graticola per il flop elettorale.
E poi c’è Cateno De Luca: c’ha messo l’anima il leader di Sud chiama Nord finendo pure in ospedale per il suo iperattivismo in giro per l’Italia con la lista Libertà, racimolando però uno striminzito 1,2% nazionale. E così mentre gli eletti preparano le valigie per vivere 5 anni a Bruxelles, gli altri fanno conti e conticini: l’eurodeputata della Lega Annalisa Tardino l’ha presa proprio male la sconfitta, spera in un salvagente di Salvini ora che è rimasta a piedi e non sa cosa fare; Giusi Savarino coi suoi 20 mila voti e passa per la causa dei Fratelli si aspetta di essere indicata come nuovo assessore nella giunta Schifani altrimenti apriti cielo, ha sbattuto la porta Marco Intravaia andandosene dal partito e non lo può fare lei?; Elena Pagana si prepara a svuotare gli armadietti dell’assessorato al Territorio ora che il compagno Ruggero Razza sta prenotando i voli per Strasburgo alla faccia di quei fratellini di partito che non lo sopportavano già dai tempi di Musumeci; Mimmo Turano, più social che mai in campagna elettorale, anche se non ce l’ha fatta è convinto che col suo bottino di 18 mila preferenze può dormire sonni tranquilli perché rimane il re indiscusso di Trapani e dintorni; Totò Cuffaro è irritatissimo con molti dei suoi perché si sono spesi poco o nulla per fare votare Marcello Dell’Utri, pardon Massimo Dell’Utri che col delfino del Cavaliere Berlusconi non c’entra nulla ma vallo a spiegare agli elettori più confusi che persuasi: 63 mila voti sono un botto per l’uomo di Saverio Romano ma non sono certamente i 200 mila che Totò vasa vasa sperava di risvegliare.
Tra i più scalpitanti per avere più peso nella giunta Schifani c’è sicuramente Raffaele Lombardo che rivendica, a ragione, buona parte dei 93 mila voti ottenuti da Caterina Chinnici, la capolista di Forza Italia strapazzata dai mister 100 mila Edy Tamajo e Marco Falcone: i rumors la danno comunque speranzosa, perché se Tamajo, come pare, rinuncerà al seggio europeo in cambio di un riconoscimento a breve da parte di Tajani e magari di un’investitura bella tosta a medio-lungo termine per un futuro da candidato governatore in Sicilia, allora Caterina Chinnici si risparmierà il trasloco e rimarrà a Bruxelles dopo le sue fatiche elettorali (ma questa è una battuta che circola tra chi l’ha votata senza mai averla vista dalle sue parti).
Il più sereno di tutti sembra il governatore Renato Schifani. Da navigato politico parlamentarista sa come giocarsi la partita ora che si ritrova la fila dietro alla sua porta: già a caldo ha messo le cose in chiaro il presidente. Rimpasto? Ok, ma senza stravolgere gli equilibri del governo: qualche cambio di nome secondo i desiderata degli alleati per carità, idem per un mini valzer delle deleghe. Se ne parlerà tra quindici giorni, aspettando Luca Sammartino, che si riprenderà il suo posto in giunta se il Riesame a fine mese revocherà la sospensione dagli incarichi pubblici per l’indagine che gli ha rovinato la campagna elettorale anche se l’ha vinta uguale facendo eleggere Raffaele Stancanelli che s’è pure lasciato alle spalle quella sagoma del generale Vannacci. Insomma le carte le darà Schifani e ci mancherebbe altro. Le urne gli hanno dato ragione nei numeri e nella sua visione di allargare Fi ai moderati, con un pensiero ora a quegli elettori liberali di Renzi e Calenda in cerca di identità dopo la pessima figura dei terzopolisti.