Ci sono notizie che hanno l’immediato sapore di buono, di novità positiva. Poi le leggi bene, ne osservi il detto e il non detto tra una riga e l’altra, e ti rimane una sensazione sgradevole di amaro in bocca. Un retrogusto a cui non sai dare un nome, ma che rovina la bella sensazione iniziale.
È quello che accade con la notizia dell’approvazione della dichiarazione episcopale “Fiducia supplicans”, nella quale si sanciscono le benedizioni alle coppie irregolari e dello stesso sesso. E immediatamente dopo si procede con i distinguo: nulla che sia paragonabile ai matrimoni, niente che venga fatto con abiti nuziali, che sia inserito in altri riti liturgici, non duri che pochi secondi e non preveda una cerimonia a sé stante. Piuttosto che possa inquadrarsi in situazioni occasionali, come la visita a un santuario, l’incontro con un sacerdote, magari durante un pellegrinaggio.
Il grande passo avanti di un’istituzione ferma a millenni fa, è dato dal riconoscimento di esistenza di individui fino a ieri ignorati, quando non considerati posseduti dal maligno, mentre il paradosso è rappresentato dall’affermazione chiara che si tratta di cittadini di serie B, ai quali concedere le briciole, giusto una pacca sulla spalla se capita di incontrarli.
È come se, quando è stato istituito il diritto di voto alle donne, lo si fosse fatto però di notte, in cabine elettorali distanti dalle altre, solo per un’ora, e vestite con abiti maschili. Ma d’altronde il voto alle donne è stato istituito in Italia appena all’inizio del secolo scorso, mentre nella chiesa ancora non esiste il sacerdozio femminile. Diciamo che questo fuso orario di cento anni tra Stato e Chiesa ancora resiste.
Di contro, l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, ha provveduto a eliminare le figure di padrino e madrina nei battesimi, comunioni e cresime, giusto per non confondere l’accezione di “padrino” con riti e logiche di cosa nostra, che nel frattempo, dai tempi di Francis Ford Coppola, si è appropriata del nome per i propri scopi.
Decisione assolutista, anche alla luce delle nuove direttive episcopali. Sarebbe stato sufficiente, esimio monsignore, che avesse mantenuto le figure di padrino e madrina, ma relegandole a un pellegrinaggio, un incontro casuale con un sacerdote, o in momenti ludico sportivi, distanti dalla sacralità della Chiesa.
Meglio i gay che i padrini, chi l’avrebbe mai detto?