Il saluto romano è apologia del fascismo? Il gesto del braccio destro completamente esteso in avanti, è un reato?
Tutto lecito, secondo la Cassazione, se il saluto non ha come obiettivo la ricostruzione del partito fascista, nessun reato se avviene durante una commemorazione come accaduto a Roma a inizio gennaio quando è stata ricordata la strage di Acca Larentia.
Saluto romano: il caso della sentenza
Un chiarimento è arrivato nei giorni scorsi dalla Suprema Corte che ha annullato la condanna emessa circa un anno fa dalla Corte d’appello di Milano nei confronti di otto persone, accusate di aver fatto il saluto fascista durante una commemorazione. In quella circostanza, gli imputati erano stati accusati di aver violato la legge Mancino del 1993 che, fra le altre cose, punisce “chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Gli otto indagati erano stati assolti in primo grado, ma successivamente era arrivata la condanna a due mesi di reclusione e a pagare una multa da 200 euro. Dopo il ricorso in Cassazione, è arrivata la sentenza emessa dalle Sezioni Unite con cui è stata annullato il verdetto della Corte d’appello e stabilito che si dovrà svolgere un processo d’appello bis per chiarire “se dai fatti accertati sia conseguita la sussistenza del concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista”. La Cassazione, dunque, non ha preso in considerazione la legge Mancino ma ha fatto esplicito riferimento alla legge Scelba del 1952, con cui fu introdotto il reato di apologia di fascismo e vietata l’organizzazione di manifestazioni che fossero propedeutiche alla ricostituzione del partito fascista.
La legge Scelba e l’articolo 5
La sentenza della Cassazione riporta in vita e all’attualità la legge Scelba, nota per aver introdotto in Italia il reato di apologia del fascismo.
In particolare, l’articolo 5 prevede che “chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste è punito con la pena della reclusione sino a tre anni e con la multa da duecentomila a cinquecentomila lire. Il giudice, nel pronunciare la condanna, può disporre la privazione dei diritti previsti nell’articolo 28, comma secondo, numeri 1 e 2, del codice penale per un periodo di cinque anni”.
Un siciliano padre della legge antifascista: chi è Mario Scelba
Siamo nel Catanese, a Granieri, frazione di Caltagirone, è il 1901. È lì che nasce Mario Scelba, secondo di cinque figli. Il padre Gaetano, uomo di fiducia e fattore di un possidente terriero, fonda una confraternita religiosa e partecipa al movimento cittadino avviato da don Luigi Sturzo.
Costretto a interrompere gli studi, Mario trova in don Luigi Sturzo il suo mentore e grazie a lui inizia a frequentare da esterno il ginnasio del seminario di Caltagirone. Il prete siciliano che poi fonderà il Partito Popolare Italiano si attiva così per garantire un’istruzione al giovane fino al conseguimento della maturità classica nel 1920. Dopo la laurea in giurisprudenza, diventa segretario particolare del PPI fino all’ascesa del fascismo. Scelba è tra gli esponenti del PPI che, attraversata la stagione del fascismo, inizia a tessere la rete politica da cui nascerà la Democrazia cristiana (DC).
Tra il 1947 e il 1955, come ministro dell’Interno, riorganizza e potenzia le forze di polizia, massicciamente impiegate per fare fronte alle tensioni sociali e politiche di quegli anni. Nel 1954 – 1955 è presidente del Consiglio, mentre dal 1969 al 1971 è presidente del Parlamento europeo. Si deve alla presidenza Scelba infatti l’iniziativa della conferenza di Messina, che dà nuovo impulso al disegno di integrazione europea culminato con i Trattati di Roma del 1957, istitutivi della Cee (Comunità economica europa) e della Comunità europea dell’energia atomica (Euratom), nonché la stipula del trattato con cui l’Italia aderì all’Unione europea occidentale.